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    1. Ogni ricerca sulla Scrittura poggia su due tematiche: come trovare ciò che occorre comprendere e come esporre ciò che si è compreso. Tratteremo quindi prima di come trovare e poi di come esporre. (De doctrina christiana, I 1,1).

    2. Il nocciolo di tutto ciò che abbiamo detto da quando abbiamo iniziato a trattare delle " cose " è questo: comprendere come la pienezza e il fine della legge e di tutte le divine Scritture è l'amore (cf. Rm 13,10; 1Tm 1,5) per la cosa di cui ci si ordina di godere e per la cosa che insieme con noi può godere dell'oggetto che amiamo; quanto invece all'amore verso noi stessi, non c'è bisogno di precetti. Ebbene, affinché conoscessimo e compissimo tutto questo, dalla divina Provvidenza è stata costituita, per la nostra salvezza, tutta la presente economia temporale, della quale noi dobbiamo servirci non con un amore e gusto che in essa, per così dire, si arresti ma piuttosto che sia transitorio. Deve esserci come una via, come un veicolo di qualsiasi genere, o come un qualsiasi altro mezzo di trasporto, o qualunque altro oggetto, chiamatelo come vi pare meglio. Basta che s'intenda questo: le cose che ci portano dobbiamo amarle in vista di colui al quale siamo portati. (De doctrina christiana, I 35,39).

    3. Chiunque pertanto crede di aver capito le divine Scritture o una qualsiasi parte delle medesime, se mediante tale comprensione non riesce a innalzare l'edificio di questa duplice carità, di Dio e del prossimo, non le ha ancora capite (cf. 1Cor 8,1-2). C'è poi colui che dalle Scritture riesce a ricavare un'idea utile a costruire l'edificio della carità. Se tuttavia risulterà che non riferisce il senso inteso in quel passo dall'autore di quel determinato libro, il suo errore non è che rechi gran danno né assolutamente lo si può chiamare menzogna. In chi mentisce viceversa c'è la volontà di dire il falso, per cui troviamo molti che vogliono mentire ma nessuno che desideri essere ingannato. Se pertanto uno dice menzogne scientemente e un altro le subisce inconsciamente, in un solo e identico fatto appare assai chiaramente che colui che viene ingannato è migliore di colui che dice menzogne (cf. 1Pt 3,17). È meglio infatti subire l'iniquità anziché commetterla. Orbene, chi mentisce commette una iniquità; e se a qualcuno talvolta sembrerà che ci sia una menzogna utile, potrà anche sembrargli che qualche volta ci sia una iniquità utile. Nessun mentitore infatti, quando proferisce menzogne, rispetta la fedeltà. Egli certo esige che colui al quale mentisce gli si conservi fedele, ma lui, dicendo menzogne, non conserva la fedeltà all'altro. Ora ogni fedifrago è un iniquo. E quindi, concludendo, o qualche volta l'iniquità è vantaggiosa - la qual cosa è sempre impossibile - o la menzogna è sempre svantaggiosa. (De doctrina christiana, I 36,40).

    4. Chi nelle Scritture la pensa diversamente da quel che pensava l'autore, siccome le Scritture non dicono il falso, è il lettore ad ingannarsi. Tuttavia, come avevo iniziato a dire, se si inganna scegliendo una interpretazione per la quale cresce nella carità - che è il fine della legge (cf. 1Tm 1,5) - si sbaglia come colui che per errore lascia la via ma, continuando il cammino per i campi, arriva ugualmente alla mèta dove conduceva quella strada. Lo si deve tuttavia correggere e gli si deve dimostrare quanto sia vantaggioso non abbandonare la via, sicché non succeda che con l'abitudine di andare fuori strada si trovi costretto a percorrere vie traverse o sentieri devianti. (De doctrina christiana, I 36,41).

    5. Quando dunque l'uomo è sorretto dalla fede, dalla speranza e dalla carità e ritiene tenacemente queste virtù, non ha bisogno delle Scritture se non per istruire gli altri. E di fatto molti vivono nel deserto senza libri, illuminati da queste tre virtù. Per costoro credo che si sia già realizzato quel che è stato detto: Si tratti di profezie, queste diverranno inutili; di lingue, queste cesseranno; di scienza, questa diverrà inutile (1Cor 13,8). Con tale struttura si è elevata in loro una tal mole di fede, di speranza e carità che, conseguito in qualche modo quel che è perfetto, non ricercano più ciò che è parziale (cf. 1Cor 13,10): perfetto dico quanto si può conseguire nella vita presente. Difatti, in confronto con la vita futura nessun giusto o santo può dire di avere raggiunto al presente una vita perfetta. Perciò dice: Restano la fede, la speranza e la carità, queste tre virtù; ma di esse la più grande è la carità (1Cor 13,13), nel senso che quando si sarà raggiunta la vita eterna, mentre le due prime spariscono, la carità rimane, si accresce e diventa più certa. (De doctrina christiana, I 39, 43).

    6. Ne segue che quando uno avrà conosciuto che fine del precetto è la carità originata da cuore puro, coscienza buona e fede sicura (1Tm 1,5), se riferirà a queste tre esigenze la comprensione delle divine Scritture può accostarsi tranquillamente alla esposizione di quei libri. Menzionando infatti la carità, vi aggiungeva: da cuore puro, perché non si amasse altro all'infuori di ciò che si deve amare. Il richiamo alla coscienza buona ve lo aggiungeva in vista della speranza. Difatti, se uno ha il rimorso di una coscienza cattiva, dispera di poter raggiungere ciò che crede e che ama. In terzo luogo parla di fede sincera. Se infatti la nostra fede sarà esente da falsità, non amiamo ciò che non si deve amare e, vivendo rettamente, speriamo ciò che in nessun modo delude la nostra speranza. Pertanto delle cose che costituiscono il contenuto della fede ho voluto dirne quanto ritenevo fosse sufficiente, dati i limiti di tempo, perché se n'è parlato molto in altri volumi scritti tanto da noi come da altri. Sia questo dunque l'epilogo di questo libro. In quello che segue parleremo dei segni, nella misura che il Signore ci vorrà donare. (De doctrina christiana, I 40,44).

    7. Scrivendo delle cose, premisi l'avvertimento di non badare se non a ciò che esse sono in se stesse e non al fatto se significhino o meno qualche altro oggetto diverso da sé. Viceversa, parlando dei segni dico che bisogna considerare non ciò che sono in sé ma piuttosto il fatto che sono segni, cioè che significano qualcosa. Difatti il segno è una cosa che, oltre all'immagine che trasmette ai sensi di se stesso, fa venire in mente, con la sua presenza, qualcos'altro [diverso da sé]. Vedendo, ad esempio, delle impronte pensiamo che vi sia passato un animale di cui quelle sono appunto le orme; visto il fumo conosciamo che sotto c'è il fuoco; udita la voce di un essere animato, ne discerniamo lo stato d'animo; suonando la tromba, i soldati sono addestrati a discernere se occorra avanzare o retrocedere o fare qualche altra mossa richiesta dalla battaglia. (De doctrina christiana, II 1,1).

    8. Dei segni, peraltro, alcuni sono naturali, altri intenzionali. Sono naturali quelli che, senza intervento di volontà umana né di intenzione volta a renderli significanti, di per se stessi fanno conoscere, oltre che se stessi, qualche altra cosa. Così il fumo richiama il fuoco. Fa ciò infatti non perché vuole significare [il fuoco] ma, per la riflessione o la nozione delle cose che noi abbiamo esperimentate, conosciamo che lì deve celarsi anche il fuoco dove si fa vedere solamente il fumo. (De doctrina christiana, II 1,2).

    9. Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano per indicare, quanto è loro consentito, i moti del loro animo, si tratti di sentimenti o di concetti. Nessun altro motivo abbiamo noi di significare, cioè di emettere segni, se non quello di palesare o trasmettere nell'animo altrui ciò che passa nell'animo di colui che dà il segno. Abbiamo stabilito di considerare ed esporre questa categoria di segni per quanto si riferisce agli uomini, poiché anche i segni dati da Dio che sono contenuti nelle sante Scritture sono stati resi manifesti a noi tramite gli uomini che li hanno scritti. (De doctrina christiana, II 2,3).

    10. Quelli che leggono la Scrittura a cuor leggero vengono tratti in inganno dalle sue molte e svariate oscurità e ambiguità, e prendono una cosa per un'altra. In certi passi non riescono a trovare nemmeno la materia per false congetture: tanta è l'oscurità con cui alcune cose sono state dette che le si debbono ritenere coperte da densissime tenebre. Tutto questo non dubito che sia avvenuto per una disposizione divina, affinché con la fatica fosse domata la superbia umana e l'intelletto fosse sottratto alla noia, dal momento che il più delle volte le cose che esso scopre facilmente le considera di poco conto. (De doctrina christiana, II 6,7).

    11. In tutti questi Libri le persone animate dal timore di Dio e divenute miti in virtù della religione cercano la volontà di Dio. Ora, riguardo a questo lavoro di ricerca, a volte faticosa, la prima esigenza da rispettare è, come dicevamo, prendere conoscenza di questi libri anche se non si giunge ancora a comprenderli. Se ne dovrà comunque farne lettura, per impararli a memoria o almeno non essere del tutto nell'ignoranza. In seguito si debbono ricercare con più acume e diligenza le cose che in tali libri sono esposte in forma più chiara, si tratti di norme di vita o di princìpi di fede. Ognuno ne troverà tanto di più quanto più è dotato di penetrazione. In concreto, fra le cose che nella Scrittura sono dette in modo palese ci sono tutte quelle che hanno per contenuto la fede e la condotta di vita, cioè la speranza e la carità, di cui abbiamo trattato nel libro precedente. Giunti a questo stadio, quando cioè si è acquistata una certa familiarità con la lingua propria delle Sacre Scritture, bisogna inoltrarsi a scoprire ed esaminare ciò che in esse vi è di oscuro. Per illustrare le espressioni più oscure si prenderanno esempi dai passi più accessibili, di modo che le testimonianze dei passi certi, anche se limitate di numero, tolgano il dubbio ai passi incerti. In questo lavoro giova moltissimo la memoria, la quale, se manca, non possiamo fornirla noi a forza di regole. (De doctrina christiana, II 9,14).

    12. Il contenuto della Scrittura non lo si comprende per due motivi: perché è nascosto o in segni sconosciuti o in segni ambigui. I segni poi sono o propri o traslati. Si chiamano segni propri quelli che si usano per significare quelle cose per cui sono stati inventati. Così quando diciamo "bue" vi intendiamo quell'animale che ogni uomo che parli latino designa, come noi, con questo nome. Sono segni traslati quelli nei quali le cose che significhiamo col termine proprio vengono usate per significare qualcos'altro. Così quando diciamo "bue", con queste due sillabe vi intendiamo quell'animale che di solito va sotto questo nome ma con quell'animale a sua volta intendiamo l'Evangelista cui allude la Scrittura, secondo l'interpretazione dell'Apostolo, che dice: Non metterai la museruola al bue che trebbia (1Cor 9,9). (De doctrina christiana, II 10,15).

    13. La persona timorata di Dio cerca diligentemente nelle Sacre Scritture la volontà divina. Mansueto nella sua pietà, non ama i litigi; fornito della conoscenza delle lingue, non rimane incastrato in parole e locuzioni sconosciute; fornito anche della conoscenza di certe cose necessarie, non ignora la forza e l'indole delle medesime quando vengono usate come paragone. Si lascia anche aiutare dall'esattezza dei codici ottenuta mediante una solerte diligenza nella loro emendazione. Chi è così equipaggiato venga pure ad esaminare e risolvere i passi ambigui della Scrittura. Per non essere tratto in inganno da segni ambigui, per quanto possibile, si lascerà equipaggiare anche da noi. Potrà, è vero, succedere che egli, o per l'acutezza del suo ingegno o per la lucidità derivatagli da un'illuminazione superiore, derida come puerili le vie che nelle presenti pagine gli vogliamo mostrare. Tuttavia, come avevo cominciato a dire, nella misura che può essere istruito da noi, colui che si trova in quello stato d'animo che gli consenta di ricevere il nostro ammaestramento sappia che la Scrittura può presentare ambiguità sia nelle parole proprie sia in quelle traslate. Di queste due specie di linguaggio abbiamo già trattato nel secondo libro. (De doctrina christiana, III 1,1).

    14. Viceversa le ambiguità in fatto di parole traslate, di cui dobbiamo parlare d'ora in poi, postulano una cura e diligenza non ordinarie. E prima di tutto occorre stare attenti per non prendere alla lettera un'espressione figurata. A questo infatti dice riferimento il detto dell'Apostolo: La lettera uccide, lo spirito dà vita (2Cor 3,6). In realtà, se quanto detto figuratamente lo si prende come detto in senso proprio, si è uomini dai gusti carnali. [...] Chi infatti segue la lettera prende la parola traslata in senso proprio, e non è capace di riferire il significato di un termine proprio ad un altro significato. [...] Finalmente è una grande schiavitù dello spirito, che immiserisce l'uomo, prendere i segni in luogo delle cose e non poter elevare gli occhi della mente al di sopra delle creature corporee per attingere la luce eterna. (De doctrina christiana, III 5,9).

    15. La locuzione che in termini precettivi proibisce il libertinaggio o il delitto o comanda un atto utile o benefico non è figurata. È invece figurata quando sembra comandare la scostumatezza o il delitto o proibire un atto utile o benefico. Dice: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non ne berrete il sangue, non avrete in voi la vita (Gv 6,54). (De doctrina christiana, III 16,24).

    16. Quanto agli studiosi delle lettere degne di assoluta venerazione, non solo li si deve spingere a conoscere i generi letterari in uso nelle Sacre Scritture e a penetrare con solerzia il modo come ogni cosa ivi è di solito espressa, ritenendola poi a memoria, ma anche a pregare per ottenere l'intelligenza, essendo la preghiera il mezzo principale e più necessario. In quelle lettere infatti di cui sono appassionati leggono che "il Signore dà la sapienza e dal suo volto derivano scienza e intelligenza" (Prv 2, 6.). Da lui hanno infatti ricevuto il loro stesso trasporto quando esso è unito alla pietà. Con questo facciamo basta a tutto ciò che riguarda i segni, compresi quelli contenuti in parole. (De doctrina christiana, III 37,56).




    17. Le arti liberali (De doctrina christiana II 18, 28 – II 39-59)

    28. Stiano o no le cose come dice Varrone, quanto a noi non dobbiamo per delle superstizioni dei profani rifuggire dalla musica, se da essa possiamo trarre vantaggi per comprendere le sante Scritture. Né dobbiamo badare alle loro banalità teatrali quando trattiamo delle cetre e degli organi e ciò contribuisce alla comprensione delle cose spirituali. Difatti non ci siamo sentiti obbligati a non imparare le lettere perché dicono che loro inventore sia stato Mercurio. Ancora, per il fatto che essi dedicarono templi a Giustizia e a Virtù, preferendo di adorare nella pietra ciò che invece si sarebbe dovuto custodire nel cuore, non per questo dobbiamo fuggire la giustizia e la virtù. Tutt'altro! Ogni cristiano buono e sincero, dovunque trova la verità, comprende che appartiene al suo Signore e, confrontandola e discernendola, ripudi anche nei libri sacri gli elementi superstiziosi ivi indotti. Si rammarichi - e ne stia in guardia - che gli uomini, conoscendo Dio, non l'hanno glorificato come Dio né l'hanno ringraziato ma, diventati vani nei loro pensieri, si oscurò il loro stupido cuore. Dicendo di essere sapienti, divennero stolti e scambiarono la gloria del Dio incorruttibile con l'immagine figurata dell'uomo corruttibile, o degli uccelli o dei quadrupedi o dei serpenti Rm 1,21ss).

    29. Tutto questo argomento, essendo sommamente necessario, dobbiamo spiegarlo con la massima diligenza. Ebbene, due sono le categorie della dottrina dei pagani, che da loro poi vengono tradotte in pratica anche nei costumi: una comprende le cose istituite dagli uomini, l'altra le cose che, come hanno essi stessi notato, si sono già realizzate o sono state istituite da Dio. Ciò che è di istituzione umana in parte è superstizioso, in parte no.

    41. Ancora: le cose che gli uomini hanno accumulato non con propria istituzione ma ricercando o gli eventi dei tempi passati o le istituzioni provenute da Dio, non le si deve considerare istituzioni umane. Alcune di queste dicono riferimento ai sensi del corpo, altre invece alla ragione, dote dell'anima. Ebbene, quelle che si raggiungono con i sensi del corpo, o le crediamo se sono narrate, o le sentiamo se ci vengono mostrate, o le accettiamo, magari per via di congetture, se sono oggetto di esperienza.

    42. Quanto ci insegna quella scienza chiamata storia nei riguardi degli eventi passati e la loro successione giova moltissimo alla comprensione dei libri santi, anche se è scienza che si impara fuori della Chiesa nella istruzione ricevuta da giovani. In base alle Olimpiadi e ai nomi dei consoli noi infatti indaghiamo spesso su molti eventi, e la mancata conoscenza del consolato nel quale il Signore nacque e di quello in cui morì portò alcuni all'errore di credere che il Signore morì all'età di quarantasei anni. In realtà dissero i Giudei che nello spazio di questi anni era stato costruito il tempio (cfr. Gv 2,20), che figuratamente rappresentava il corpo del Signore. Che il Signore sia stato battezzato all'età di circa trent'anni noi lo riteniamo un dato certo per l'autorità del Vangelo (cfr. Lc 3,23), ma quanti anni sia rimasto in questa vita dopo il battesimo lo possiamo, è vero, intendere dal succedersi delle azioni compiute da lui, tuttavia per dissipare ogni ombra di dubbio, da qualunque parte derivi, si desume con assoluta certezza dalla storia profana comparata col Vangelo. Così infatti si vede che non fu detto invano che il tempio fu costruito in quarantasei anni, e, se questo numero non può riferirsi all'età del Signore, lo si riferisce alla conformazione più intima del corpo umano, di cui non esitò a rivestirsi per amore nostro l'unico Figlio di Dio, ad opera del quale furono fatte tutte le cose.

    45. C'è anche un genere di narrazione che è simile alla descrizione e col quale si segnalano alle persone, che ne sono all'oscuro, non le cose passate ma quelle presenti. A questo genere appartengono tutte le composizioni concernenti la geografia, la natura degli animali, delle piante, delle erbe, delle pietre e di altri corpi. Di questo genere di scritti abbiamo trattato sopra e abbiamo insegnato che la loro conoscenza ha del valore positivo per risolvere gli enigmi delle Scritture. Non li si deve prendere come dei segni nel senso che appartengano al genere dei rimedi o di qualche astruseria superstiziosa. In effetti, già sopra abbiamo collocato a parte quel genere e lo abbiamo separato da questo [di cui parlo adesso e] che è lecito e libero. Un conto infatti è dire: Se berrai di quest'erba sminuzzata ti passerà il dolore di pancia, e un altro conto è dire: Se ti appendi al collo quest'erba, ti passerà il mal di pancia. Nel primo caso si ha una mistura salutare che si approva, nel secondo un segno superstizioso che si condanna. È vero che, quando non si tratta di incantesimi, di evocazioni o di amuleti, il più delle volte rimane dubbio se la cosa che si lega a un corpo che si vuol guarire o in qualsiasi altro modo si applica ad esso abbia della virtù per forza naturale - e allora si potrebbe adoperare liberamente - o le provenga da qualche connessione con la categoria degli incantesimi. In questo caso il cristiano se ne deve guardare con tanto maggiore cautela, quanto sembrerà essere maggiore la sua efficacia. Ma quando non si sa in forza di quale causa un segno è efficace, è interessante osservare l'intenzione con cui ciascuno se ne serve, nell'ambito sempre di guarire o normalizzare i corpi, tanto nel campo della medicina che in quello dell'agricoltura.

    46. Quanto alla cognizione degli astri, essa non costituisce un racconto ma una osservazione, e di tali osservazioni la Scrittura ne contiene molto poche. Da un lato, in effetti, è noto a moltissimi il ciclo lunare, al quale ricorriamo per fissare la celebrazione solenne che ogni anno facciamo della passione del Signore, dall'altro però pochissimi conoscono senza errore il sorgere delle rimanenti stelle e così pure il loro tramontare o gli altri loro periodi. Questa conoscenza, di per se stessa, sebbene non sia connessa con alcuna superstizione, tuttavia non giova molto, anzi, quasi per niente, nell'esposizione delle divine Scritture; piuttosto la ostacola per l'inutile attrazione che esercita sull'anima. E, siccome ha delle affinità col dannosissimo errore di coloro che con canti insulsi predicono gli eventi, è più sbrigativo e più serio disprezzarla. Essa, tuttavia, oltre che l'osservazione delle cose presenti, ha anche qualcosa che la rende simile al racconto delle cose passate, in quanto dalla presente posizione degli astri e dal loro moto ci è consentito ricorrere normalmente anche alle tracce del loro passato. Essa permette di fare delle congetture precise sui tempi futuri, congetture non basate su ipotesi o fenomeni divinatori ma comprovate ed esatte. Non per questo comunque siamo autorizzati a tentare di ricavare da loro alcunché in rapporto con le nostre azioni o avvenimenti, come sono le conclusioni pazzesche dei genetliaci, ma solo per quanto si riferisce alle stelle in se stesse. Porto l'esempio di chi osserva la luna. Guardando in che fase è oggi e come era tanti anni fa, si può dire anche come sarà fra un certo numero di anni. Così anche quelli che osservano le singole stelle: chi ne sa calcolare il corso in base alla scienza riesce di solito a rispondere [con uguale precisione]. Di tutto questo scibile e di ciò che si riferisce al suo uso, ecco pertanto esposto il mio parere.

    47. Si dovrebbe anche parlare delle altre arti. Ci sono quelle in cui si costruisce qualcosa che, prodotto da un operaio, rimane anche dopo che l'opera di lui è terminata: così una casa, un mobile, uno strumento di vario uso e oggetti di questo tipo. Ci sono attività in cui si collabora con Dio, che è l'artefice vero e proprio: tali la medicina, l'agricoltura, la guida di una nave. Altre ce ne sono in cui tutto l'effetto si esaurisce nell'azione, come il ballo, la corsa, la lotta. In tutte queste arti gli esperimenti del passato permettono di congetturare anche le cose future: difatti ognuno che le pratica nell'agire non muove le membra se non ricollega il ricordo del passato con la tensione verso l'avvenire. Alla conoscenza di queste arti nello stesso ambito della vita umana si deve ricorrere moderatamente e di sfuggita, non per praticarle, a meno che qualche dovere ce lo imponga (cosa di cui non voglio ora trattare), ma per darne un giudizio, di modo che non succeda che ignoriamo completamente ciò che la Scrittura vuole insegnare quando desume da queste arti qualche espressione figurata.

    48. Rimangono le scienze che dicono relazione non ai sensi del corpo ma all'intelletto, dote dell'anima, dove fanno da regine la dialettica e la matematica. La dialettica reca moltissima utilità là dove si tratta di penetrare e risolvere qualsiasi genere di problemi che si trovano nelle sacre Lettere. Nell'usarla occorre soltanto evitare la smania di litigare e quella specie di ostentazione puerile di far cadere in trappola l'avversario. Ci sono infatti, e numerosi, i cosiddetti sofismi, cioè conclusioni false di un ragionamento che spesso rassomigliano talmente alle vere da trarre in inganno non solo i tardi d'ingegno ma anche gli intelligenti, se non vi badano con tutta accortezza. Una volta un tale al suo interlocutore propose questo raziocinio: " Ciò che sono io, tu non lo sei ". E l'altro acconsentì, sebbene la cosa fosse solo parzialmente vera, ma mentre l'uno era cavilloso l'altro era sempliciotto. Allora quegli riprese: " Orbene io sono un uomo ". E quando l'altro ebbe ammesso anche questo, il primo tirò la conclusione dicendo:" Quindi tu non sei un uomo ". Questo genere di conclusioni capziose viene detestato - a quanto posso ritenere - dalla Scrittura là dove dice: Chi parla da sofista è meritevole di odio (Sir 37,23). Inoltre anche un parlare non capzioso ma che va alla ricerca di abbellimenti verbali più di quanto non convenga al parlare serio è [dalla Scrittura] chiamato parlare sofisticato.

    56. Quanto alla scienza dei numeri, anche a chi è eccezionalmente tardo d'ingegno è evidente che essi non sono stati inventati dagli uomini, ma piuttosto da loro investigati e scoperti. Non può succedere, riguardo ai numeri, quel che è successo nei riguardi della prima sillaba della parola Italia: gli antichi la pronunciavano breve, ma intervenne Virgilio ed è diventata lunga. Non così ciascuno di proprio arbitrio può fare sì che tre per tre non faccia nove o che non formino una figura quadrata o che non siano il triplo rispetto a tre, una volta e mezzo rispetto a sei, il doppio di nessun numero perché i numeri dispari non hanno la metà. Sia dunque che li si consideri in se stessi sia che vengano usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti, i numeri hanno regole immutabili, regole che non sono state inventate dagli uomini ma scoperte dall'acume degli ingegni più dotati.

    59. Alcuni si sono dati da fare per tradurre separatamente tutti i verbi e i nomi ebraici, siriani, egiziani o scritti in qualsiasi altra lingua usata nelle sante Scritture, qualora questi verbi e nomi si trovino senza traduzione. Ciò fece Eusebio nei riguardi della cronologia storica, a motivo di certe questioni dei Libri divini che ne richiedevano l'apporto. Gli altri lo fecero nei riguardi delle altre materie consimili, per liberare il cristiano dalla necessità di sostenere molti lavori a motivo di poche cose. Allo stesso modo ritengo che compia un'opera veramente caritatevole e vantaggiosa ai fratelli colui che con gioia si dedica ad elencare in scritto, facendone la sola spiegazione e descrivendo le cose in forma generica, tutte le località geografiche, gli animali, le erbe, le piante, le pietre e i metalli sconosciuti e tutti gli oggetti di vario genere di cui la Scrittura fa menzione. Lo stesso può farsi anche nei riguardi dei numeri, limitando il computo ai soli numeri ricordati nella divina Scrittura. In questo campo alcune ricerche, o forse tutte, sono già state eseguite; difatti abbiamo trovato molte nozioni elaborate e messe in iscritto da cristiani buoni e dotti, come non avremmo mai pensato. Sono lavori che giacciono nell'oscurità per la negligenza di molti o perché certi invidiosi li hanno occultati. Non so se la stessa cosa possa farsi sul sistema di discutere; credo anzi che la cosa sia impossibile perché la discussione è collegata a guisa di nervatura lungo tutto intero il testo scritturale. Questo lavoro aiuta i lettori più a risolvere e spiegare le ambiguità che non a conoscere i segni ignoti di cui ora ci occupiamo.




    18. Il contesto del lettore (De doctrina christiana III 10, 14-15)

    14. A questa norma per la quale badiamo a non prendere come propria una locuzione figurata, cioè traslata, occorre aggiungere anche l'altra, cioè a non prendere come figurata una locuzione propria. [...]

    15. Siccome però l'uomo inclina a valutare i peccati non dai momenti della passione ma piuttosto dall'abitudine, accade spesso che ogni uomo giudica degno di condanna soltanto ciò che gli uomini della sua patria e del suo tempo son soliti disapprovare e condannare e degno di approvazione e di lode ciò che tollera la consuetudine di coloro in mezzo ai quali vive. Ne segue che, se la Scrittura o comanda ciò che è in contrasto con la consuetudine di queste persone o disapprova ciò che non lo è, qualora l'animo degli uditori è stato preso e avvinto dall'autorità della parola, essi riterranno trattarsi di una locuzione figurata. Ebbene, la Scrittura non comanda altro che la carità né dichiara colpevole altro che la cupidigia, e in tal modo forma i costumi degli uomini. Parimenti, se una opinione erronea si è stabilita nell'animo di qualcuno, egli riterrà figurato tutto ciò che la Scrittura asserisce essere di significato diverso. Ma la Scrittura non afferma se non ciò che risponde alla fede cattolica e quanto al passato e quanto al futuro e quanto al presente. Essa infatti è un racconto del passato, un preannunzio del futuro e una descrizione del presente; ma tutto questo è ordinato a nutrire e corroborare la stessa carità e a superare ed estinguere la cupidigia.